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IL PATRIMONIO GENETICO EUROPEO? DA MIGRAZIONI DI 17.000 ANNI FA

  • 25 mag 2021
  • Tempo di lettura: 3 min

Le migrazioni preistoriche che hanno contribuito a formare il patrimonio genetico dei popoli europei contemporanei sono iniziate molto prima di quanto si era creduto fino ad oggi.

Le migrazioni preistoriche che hanno contribuito a formare il patrimonio genetico dei popoli europei contemporanei sono iniziate molto prima di quanto si era creduto fino ad oggi. Uno studio guidato da ricercatori delle Università di Bologna e di Padova e pubblicato sulla rivista Current Biology mostra infatti che la diffusione in Europa meridionale, e in particolare in Italia, di componenti genetiche legate all’Europa orientale e all’Asia occidentale risale ad almeno 17000 anni fa, ovvero 3000
IL PATRIMONIO GENETICO EUROPEO? DA MIGRAZIONI DI 17.000 ANNI FA


Uno studio guidato da ricercatori delle Università di Bologna e di Padova e pubblicato sulla rivista Current Biology mostra infatti che la diffusione in Europa meridionale, e in particolare in Italia, di componenti genetiche legate all’Europa orientale e all’Asia occidentale risale ad almeno 17000 anni fa, ovvero 3000 anni prima di quanto ipotizzato finora.


La scoperta deriva dall’analisi di tracce di DNA antico estratto in una porzione di mandibola che apparteneva ad un giovane uomo, datata direttamente a circa 17000 anni fa.

Il reperto è stato rinvenuto nel 1963 nel sito paleolitico di Riparo Tagliente, in provincia di Verona.


"Le analisi che abbiamo realizzato ci hanno permesso di guardare a fondo nel passato di questo individuo vissuto a Riparo Tagliente, che era a tutti gli effetti uno dei primi ricolonizzatori delle Alpi meridionali dopo l'apice massimo dell'ultima glaciazione",

spiega Eugenio Bortolini, ricercatore al Dipartimento di Beni culturali dell'Università di Bologna e primo autore dello studio.


"I risultati ottenuti aprono nuovi orizzonti sulla ricostruzione delle migrazioni che hanno attraversato l’Europa meridionale e che hanno contribuito a formare il background genetico di tutti gli europei contemporanei: un processo che fino ad oggi si credeva invece legato, anche a sud delle Alpi, all'affermarsi di condizioni climatiche decisamente più miti".

Dall'analisi del DNA antico estratto dal reperto è emerso infatti che l’individuo cui apparteneva la mandibola trovata a Riparo Tagliente presenta affinità genetiche, della linea materna e di quella paterna, con individui vissuti in altre località sia italiane che europee fino addirittura a 19 mila anni fa.


Un dato, questo, che suggerisce come i movimenti di popoli attraverso l’Europa siano precedenti alla ricolonizzazione delle Alpi dopo il picco dell’ultima glaciazione e siano quindi sempre rimasti attivi anche durante le fasi più fredde.


Il termine dell’Ultimo massimo glaciale, ovvero il periodo di massima espansione dei ghiacci durante l’ultima glaciazione, risale a circa 17000 anni fa.


Questo passaggio mise in moto una serie di trasformazioni del paesaggio, che nell’Italia settentrionale, con l’arrivo di condizioni climatiche migliori, portò alla graduale ricolonizzazione dell’area alpina da parte di gruppi di cacciatori e raccoglitori.


Nell’Europa meridionale però, e quindi anche in Italia, già in precedenza, tra circa 18000 e 17000 anni fa, si registra una trasformazione significativa delle tecnologie litiche, della cultura materiale e delle strategie di adattamento.


I nuovi risultati ottenuti ora dall’analisi del reperto di Riparo Tagliente sembrano confermare che la diffusione di componenti genetiche legate alle aree anatolica e balcanica, risalga in effetti ad almeno 17000 anni fa e sia quindi contemporanea a questi cambiamenti culturali.


“Il genoma antico ottenuto dai resti di Riparo Tagliente è particolarmente rilevante, dal momento che supporta l’ipotesi di estese reti di collegamento, scambio culturale e commerciale e mobilità capaci di attraversare l’Europa già immediatamente dopo l’apice dell’ultima era glaciale e molto prima del riscaldamento dovuto ad eventi climatici successivi”,

conferma Luca Pagani, professore all’Università di Padova e co-primo autore dello studio.


“Questo risultato dimostra come la datazione diretta di un fossile sia fondamentale per interpretare le tracce del nostro passato e ridurre l’incertezza quando ci si trova davanti ad un contesto archeologico”,

aggiunge Sahra Talamo, professoressa all’Università di Bologna.


L’analisi della mandibola ha anche permesso di scoprire dettagli interessanti sull’individuo a cui apparteneva.


“Il frammento analizzato apparteneva ad un giovane di sesso maschile che era affetto da cementoma: uno sviluppo anomalo e poco diffuso del tessuto dentale”, spiega Gregorio Oxilia, ricercatore dell’Università di Bologna e co-primo autore dello studio. “Queste tracce ci possono offrire informazioni importanti sulla diffusione di queste patologie anche nelle popolazioni europee antecedenti alla rivoluzione neolitica”.

(NoveColonneATG)


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