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Il documentario “Amara terra mia” all’IIC di Amburgo


- Lunedì prossimo, 17 gennaio 2022, alle ore 20:00, e domenica 23 gennaio, alle ore 11:00, presso il Cinema Zeise di Amburgo verrà proiettato in tedesco e in italiano con i sottotitoli in tedesco, il documentario “Amara terra mia – Mein bitteres Land“ del 2020 (82 min) di Eduard Erne, Dania Hohmann e Ulrich Waller (82 min.) in presenza della regia e altri ospiti.

Per informazioni sull’acquisto di biglietti o relative alle modalità di ingresso alla sala cinematografica in base alle disposizioni in seguito al CoVid19, si prega di consultare la pagina web del cinema. https://www.zeise.de/film/2623

“Studiate una lingua e andatevene!”. Così Alcide De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri della Repubblica Italiana nei primi anni 50, spinse i giovani dell‘Italia centrale e meridionale a lasciare la loro terra per cercare fortuna in terra straniera. L‘Italia non riusciva più a sfamarli. Tanti di loro arrivarono in Germania come “Gastarbeiter”, lavoratori ospiti. Che cosa hanno vissuto quando sono arrivati, com‘è stata allora la “Willkommenskultur”, la cultura d‘accoglienza? Come è stato per loro dover lasciare la famiglia, la patria e la propria lingua?

Il film documentario cerca di dare una risposta a queste domande sulla base della storia fittizia di un migrante toscano, Agatino Rossi, nato a San Gusmè, un piccolo paese del Chianti senese ed emigrato in Germania alla ricerca di un lavoro. Due donne (rappresentate da Adriana Altaras e Daniela Morozzi) si trovano a Wolfsburg per ritirare le ceneri del padre deceduto. Che fossero sorellastre, che il loro padre avesse due famiglie, una in Germania e l‘altra in Italia, lo scoprono solo in quel momento. Insieme si mettono in viaggio verso la casa natale del padre. Lì rivivono le tappe più importanti della sua vita e pezzo dopo pezzo, iniziano a comporre la storia del loro padre, di cui ciascuna conosce solo una parte, un uomo vissuto senza una vera patria e come pendolare fra i due Paesi.

Il film documentario di genere drammatico, parla delle esperienze in Italia e in Germania di Rocco Artale, Lorenzo Annese, Antonino Spinello e Luigi Cavallo, Italiani della prima e seconda "generazione di lavoratori ospiti" di Wolfsburg, che hanno vissuto l'ipocrisia nell'accoglienza, le spaventose condizioni di vita che andavano oltre il "normale" sfruttamento della classe operaia e altro ancora. Tutto ciò supportato da materiale filmico d'archivio degli anni '60 che documenta la storia dei “Gastarbeiter“ a completamento dell’opera di Eduard Erne, Dania Hohmann e Ulrich Waller. Nella sua ricerca di tracce il film arriva a conclusioni sorprendenti. L‘integrazione degli Italiani, oggi considerata riuscita, ha incontrato molte difficoltà iniziali. Pregiudizi come: “Gli italiani sono inaffidabili e lesti con i coltelli”, “ci hanno traditi durante la guerra” e “in tanti di loro si nasconde un maniaco sessuale”, erano diffusi e ricordano discussioni del tutto simili in seguito all‘ondata di rifugiati del 2015.

“Amata terra mia”, che prende il titolo dall’inno di Domenico Modugno dedicato appunto agli emigranti italiani negli anni ’50 e ’60, si basa sul dramma “La grande gelata/Der Grosse Frost”, un progetto teatrale sugli emigranti italiani in Germania di Matteo Marsan/Dania Hohmann/Ulrich Waller, portato in scena da una coproduzione firmata dal St. Pauli Theater di Amburgo e dal Teatro Alfieri di Castelnuovo Berardegna, dopo l’ottima esperienza avviata nel 2014 dal gruppo di registi italo-tedeschi con il progetto “Albicocche rosse”, dedicato al 60esimo anniversario dell’eccidio di Palazzaccio, podere nei dintorni di Castelnuovo Berardenga che il 4 luglio 1944 fu teatro di uno dei tragici drammi civili che segnarono la storia senese e toscana in quel periodo.

Ad Amburgo lo spettacolo teatrale fu presentato nel 2017 e aveva come scena centrale il piccolo paese toscano di San Gusmé con gli anziani che ricordavano l’inverno rigido del 1956, in cui il gelo bruciò gli ulivi e le viti, l’intero raccolto fu distrutto, gli animali morirono e intere famiglie furono ridotte al lastrico. Che fare? Le miniere in Belgio offrivano carbone in cambio di manodopera; le fabbriche in Germania promettevano salari in cambio del lavoro alla catena di montaggio. Sudore e lacrime. Questo era il futuro. E molti si misero a cercarli, diventando così dei “Gastarbeiter“ appunto cioè “lavoratori ospiti“, perché la nazione che li ospitava lo faceva con l’intenzione di tenerli per un tempo limitato, pensando che al termine delle sue proprie necessità questi “lavoratori ospiti“ sarebbero ritornati ai propri paesi d’origine. Invece... (aise)

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