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Germania – La ricerca parla italiano

  • 21 ott 2021
  • Tempo di lettura: 2 min

A Berlino, in un’area chiamata Buch, c’è un prestigioso Centro di ricerca di medicina molecolare dall’animo italiano. È intitolato a Max Delbrück, berlinese, poi naturalizzato statunitense, premio Nobel per la medicina nel 1969. Sui 1600 tra ricercatori e personale che ogni giorno, o quasi, popolano i suoi laboratori, un centinaio sono italiani. «Quasi in ogni team c’è un mio connazionale», ci spiega Mariantonia Costanza, avellinese, 31 anni, che a Buch si occupa di ricerca sui tumori del sangue riguardanti il sistema immunitario: «Sono qui dal settembre 2016. Mi ero appena laureata alla magistrale in Biotecnologie mediche quando la segretaria del mio capo alla Bicocca di Milano mi ha chiamata, dicendomi: “Ti interessa un dottorato a Berlino?”». Da allora Mariantonia è riuscita a ottenere continui finanziamenti per la sua ricerca su due linfomi, di Hodgkin e a grandi cellule anaplastico. «Di entrambi non si conosce la causa. Con il team di cui faccio parte cerchiamo di capire quale sia l’interruttore, per poi colpire il tumore in maniera mirata». Nel suo team ci sono altri due italiani, una situazione analoga a quella di Carlo Barbini, veneziano, che dopo la laurea triennale in Biologia all’Università di Ferrara e quella specialistica in Biologia molecolare alla Humboldt di Berlino, ha deciso di restare. «Sono arrivato 8 anni fa – racconta –. L’Italia non valorizza i ricercatori. Berlino promuove meglio di qualsiasi altro posto l’interdisciplinarietà dei campi di ricerca e lo scambio culturale. Qui studio le malattie neurodegenerative e delle ossa come l’osteopetrosi. Sono l’unico italiano nel team, ma il mio capo, berlinese doc, parla italiano. Il campus è una Little Italy. La città è favolosa, ma mi capita di pensare di tornare a vivere nel Belpaese, il più bello al mondo. Potrò farlo solo dopo aver raggiunto una posizione di rilievo».

Cristina Brischetto, 32 anni, catanese, dopo aver conseguito la laurea triennale in Biologia molecolare nella sua città, ha continuato a studiare a Trieste specializzandosi in Genomica Funzionale. «Sono arrivata a Berlino nel dicembre del 2016 per un dottorato sui meccanismi molecolari di resistenza del tumore alle terapie convenzionali. La Germania investe molto nella ricerca. Inizialmente è stata dura ambientarsi in un laboratorio prettamente tedesco come il mio, ma come spesso accade quando lasci da parte le tue sicurezze, trovi sfide che ti fanno scoprire molto sulla tua persona e sul mondo che ti circonda. Non è detto che rimarrò per sempre a Berlino. La mia voglia di conoscere non si è ancora esaurita, ma non penso di tornare in Italia. Mancano le infrastrutture e i fondi. Se lo farò, sarà solo per godermi la mia famiglia, i pochi cari amici, il buon cibo e il sole, ma solo durante le vacanze». (Andrea D’Addio – Il Messaggero di sant’Antonio, edizione italiana per l’estero /Inform)

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