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ROBERTA MARINI DE PLANO E LE CENE VIRTUALI DELL’ACCADEMIA ITALIANA DELLA CUCINA A NY

- DI MARIA SOLE ANGELETTI



NEW YORK - “Roberta Marini De Plano è un’esperta comunicatrice, dalla mente inventiva, le sue radici italiane e la sua educazione newyorkese, sono una combinazione esplosiva e vincente per il suo lavoro che l’hanno portata ad essere la Delegata dell’Accademia Italiana della Cucina di New York. L’abbiamo raggiunta e ci ha raccontato come è riuscita a creare una convivialità virtuale in questo tempo pandemico”. Ad intervistarla è stata Maria Sole Angeletti per “La voce di New York”, quotidiano online diretto da Stefano Vaccara. D. L’Accademia Italiana della Cucina di New York è la prima delegazione creata all’estero nel 1959, qual è la sua missione? R. La missione dell’Accademia è di tutelare le tradizioni gastronomiche italiane e di favorire un miglioramento sia all’Italia che all’estero. Tra i miei obiettivi primari c’è il controllo degli ingredienti utilizzati nei ristoranti, la tradizione, e la purezza del cibo che propongono. New York è il centro del mondo e il controllo di ciò che viene presentato della nostra cultura è fondamentale, è importante che il mondo americano conosca la purezza della nostra tradizione. La responsabilità che sento più importante nel ruolo di Delegato, è forse quella di raggiungere nuovo pubblico educandolo alla nostra cultura. D. Valorizzare i prodotti tipici, farli conoscere, divulgare la preparazione e la degustazione di quello che l’Italia ha saputo produrre in campo gastronomico vuol dire anche difendere la propria identità culturale. La visione della della cucina italiana e dei suoi prodotti oggi è la stessa di quando arrivò a New York? R. I giovani americani sono molto più coinvolti nelle scelte degli ingredienti e molto più informati di cosa fa bene e cosa fa male. C’è un interesse e un’educazione molto più attenta per quello che si mangia. C’è un apprezzamento maggiore dei nostri ingredienti e la visione della cucina italiana è decisamente cambiata. Quando sono arrivata la cucina italiana era italo-americana, creata dagli immigrati italiani che hanno portato le loro tradizioni ricreando la nostra cucina sugli ingredienti che c’erano, il Made in Italy si è evoluto nel tempo. Oggi si riconosce e differenzia l’olio d’oliva americano da quello italiano, l’ingrediente di qualità arrivato sugli scaffali rende tutto diverso. D. La pandemia ha paralizzato il settore enogastronomico di New York, e ha innescato profondi cambiamenti nelle abitudini e nei bisogni, nelle paure e nei desideri di consumatori, clienti e partner. Lei ha affrontato questo delicato passaggio senza arrendersi e ha creato un format sperimentale la “Quarantine Cuisine”. Da dove è nata questa idea? Come è riuscita a mettere in atto delle nuove strategie di convivialità? R. Con la pandemia in corso, le chiusure dei ristoranti e uffici c’è stato un esodo di molti accademici dalla città per zone più sicure e comode (mare o campagne) e non abbiamo avuto occasione né di fare le nostre cene tipiche né eventi culturali. Quindi nel mio ruolo di Delegata mi son sentita in obbligo di inventarmi un’alternativa. di comunicare con i miei accademici, e creare un’unione nonostante le distanze. C’era il rischio di perdere tutto ciò che avevamo costruito negli anni. Così nasce “Quarantine Cuisine”, una cena virtuale via zoom con asporto a casa ai nostri accademici in varie città’ nei paraggi di New York. Questa è stata la mia risposta a questa terribile crisi che ha depresso e praticamente paralizzato il settore enogastronomico di New York e altrove, inizialmente c’è stata molto resistenza e paura, è stato molto difficile creare una convivialità virtuale. La parte dura è stata soprattutto per i ristoratori, che non avevamo cucine equipaggiate per il servizio ad asporto. Ma nonostante tutte le difficoltà e le tempeste di neve ci siamo riusciti. D. La tecnologia viene incontro anche alla vita sociale, che il coronavirus ha azzerato nel mondo reale. Con il suo ultimo evento ha celebrato il carnevale grazie a una cena virtuale via zoom, come si è svolta? R. Esatto, questa volta ho incluso anche Viareggio e la Toscana, per far sì che lo spirito di convivialità e tradizione carnevalesca continuasse nonostante tutto e ho svolto ‘La cena in maschera” celebrando il carnevale (carnem-levare è d’altronde un termine gastronomico!) che è stato posticipato a Viareggio con tutte le altre città, e anche facendo un ironico “double entendre” con le maschere anti-covid che ormai sono parte del nostro giornaliero. Ogni partecipante (32 in tutto) ha ricevuto una scatola contenente un menu completo, il tutto preparato dallo Chef stellato Michelin Massimo Sola che ha incluso un’ottima porzione dei “cenci” (in toscano) o “chiacchiere”, come le ha chiamate lui, e tre maschere carnevalesche da indossare durante la nostra cena via zoom. L’Onorevole Fucsia Nissoli Fitzgerald deputata al Parlamento Italiano nella circoscrizione Nord e Centro America ha inviato un messaggio personale per introdurre l’evento; mentre invece abbiamo avuto un collegamento in diretta con la delegazione di Viareggio-Versilia (rappresentata dal delegato Alberto Petracca) con presentazione speciale della Dott.ssa Paola Casucci (ex- delegata) e Avv. Eleonora Romani. Hanno esplorato le origini del carnevale viareggino e anche tipici piatti associati alla zona, il tutto creando un bellissimo ponte virtuale tra Viareggio e NewYork. Inoltre abbiamo creato un video d’immagini dei carnevali scorsi con le famose canzonette del 1921: “Su’ la coppa di champagne”, 1982: “Volo di Coriandoli” e 1987 “Calypso Carnevale” per creare l’atmosfera. La cena ha riscosso molto successo anche grazie allo Chef Massimo Sola, di Azzate (Varese) da sei anni a New York dopo aver vinto la sua stella Michelin in Italia con il suo ristorante, ci ha portato attraverso i sapori, gli ingredienti e le tecniche usate per produrre una cena veramente eccezionale con gran entusiasmo e passione. D. Ritrovarsi insieme, darsi appuntamento, mangiare del buon cibo, creare un’atmosfera di riunione è un mix di antico e moderno che ha qualcosa di poetico? R. L’atmosfera che si crea con le cene virtuali è per assurdo più coinvolgente, c’è un’attenzione maggiore e meno dispersione, se ci pensi si sta tutti insieme mentre nelle cene dal vivo i commensali tendono a conversare solo nei loro tavoli. C’è un maggior conforto, tanto che nessuno degli ospiti si alza prima della fine della cena e rimangono collegati per tutta la serata. D. Ci sarà un prossimo evento virtuale? R. Sì, stiamo pensando di fare una cena per la Pasqua creando un ponte con l’Italia, il mio obiettivo è aprire la connessione a un bacino più ampio, che vada oltreoceano. La fenice deve risorgere dalle sue ceneri. È un ottimo momento per divulgare la cultura italiana in luoghi dove in tempi normali sarebbe difficile raggiungere. D. Questa è un’epoca di cambiamento che comporterà inevitabilmente un rinnovamento. Oggi che il pubblico americano è più consapevole nei confronti di quello che mangia pensa che nel periodo post pandemico continuare a tutelate e valorizzare la cucina italiana richiederà nuove strategie? R. Mi sento in dovere con l’Accademia di continuare a far conoscere e divulgare sempre di più la nostra cucina italiana e le nostre tradizioni, educare le persone ad apprezzare quello che è la nostra semplicità e il nostro modo di utilizzare gli ingredienti di stagione. La voglia di imparare a cucinare in casa, nata con la pandemia ci permette di insegnare passaggio dopo passaggio in modo autentico le nostre ricette, è una nuova strategia che si è sviluppata. L’americano è un popolo a cui manca la storia ed è attratto dalle storie che raccontano i nostri piatti, sono affascinati dalle combinazioni degli ingredienti e da come nascono le nostre ricette, e noi siamo dei maestri nel valorizzare attraverso la narrazione. Vivere la tavola d’altronde è un’esperienza. D. Tutte le tendenze iniziano a New York. Quello che vediamo oggi in Italia probabilmente è accaduto in America dieci anni fa. Quali sono i cambiamenti che la pandemia ha costretto a mettere in atto? Quale sarà secondo lei la nuova normalità nel futuro? R. Il futuro come conseguenza della pandemia non è certamente facile da proiettare, ma certi trend come “do it yourself”, “stay at home & delivery” e “good for you” sono qui, rimarranno e cresceranno. Quindi da bravi e creativi italiani che siamo sempre stati, dobbiamo continuare ad adattarci, evolverci ed innovarci. Il tutto sempre nel contesto di alta qualità’ e leadership del Made in Italy che ci ha sempre distinto. La nuova normalità non è più andare a mangiare al ristorante ma cucinare e godersi un buon pasto che arriva direttamente a casa, i menu sono molti e specifici, dalla colazione alla cena, dal menù con la carne organica a quello vegano. Questa è il nuovo futuro e nel mio piccolo è esattamente quello che ho cercato di fare con questa iniziativa. D. Oggi nelle nuove modalità di relazione a distanza è possibile mantenere una comunicazione che sappia essere efficace e allo stesso tempo che riesca a raggiungere il cuore del pubblico? R. Rispetto l’Accademia, il Presidente Paolo Petroni, ha creato proprio l’applicazione dell’Accademia Italiana della Cucina oltre quella già esistente della guida dei ristoranti, disponibile per tutti. È un nuovo mezzo comunicativo che permette di rimanere informati e raggiungere i lettori di tutto il mondo con le nostre tradizioni. I libri che l’Accademia propone ogni anno, sono un altro mezzo di comunicazione per raggiungere il pubblico. L’edizione prodotta lo scorso anno dal titolo Fritti, frittate e frittelle, raccoglie molte ricette, come quella delle chiacchiere che io ho riportato nella nostra ultima cena virtuale. Del resto la storia che c’è nella tradizione dei nostri piatti rimarrà per sempre, raggiunge i cuori delle persone al di là di qualsiasi cambiamento. D. Qual è l’ingrediente segreto che le permette di non perdere l’attaccamento alla sua terra e portare con sé un po’ di quel mediterraneo che ha lasciato tempo fa? R. La lasagna di mia mamma. Era una cuoca eccellente, le mie amiche a New York volevano sempre venire a pranzo a casa nostra, dove si aveva la fortuna di mangiare i piatti autentici italiani. Mi ricordo che andavamo nel Bronx a cercare il cardo, per la zuppa, a quel tempo era un ritrovo per noi italiani, era come un tornare a casa. Oggi ci sono gli scaffali di Eataly che aprono le porte ai nostri ingredienti, sono sicuramente più facili da trovare ma il torrone Nurzia che compravo con mamma ad Arthur Avenue nel Bronx aveva un sapore magico. D. Lei è una brava cuoca? R. È una mia passione, che cerco di trasmettere anche ai miei figli. l’Italia con i suoi sapori cerco di viverla sempre non appena posso, è parte di me”. (aise)


05/03/21

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