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QUELLA STAMPA CHE (IN RITARDO) NON SI CAPACITA DELLA MALINDI ITALIANA - DI FREDDIE DEL CURATOLO



MALINDI - “Periodicamente sui media non solo keniani, vengono pubblicati reportage, diari o servizi di giornalisti, blogger o influencer che “scoprono” la Malindi italiana. Avviene ormai da 40 anni ed io, ogni volta, li leggo, li archivio e spesso li commento. Quando ne ho la possibilità contatto anche l'autore e la testata per confrontarmi e capire da dove nascano certe considerazioni a volte affrettate, spesso superficiali e qualche volta anche campate in aria. L’ultimo della serie (ormai in palese ritardo) è un articolo della BBC che racconta, come se lo si dovesse mettere a nudo per la prima volta, la “colonizzazione turistica” della cittadina appoggiata alle rive dell’Oceano Indiano del Kenya”. A commentare l’articolo della BBC è Freddie del Curatolo su “MalindiKenya.net”, portale da lui fondato e diretto. “Anche in questo caso, come è avvenuto per altri articoli, alla sorpresa e al piacere del buon cibo (perché agli occhi degli stranieri fare la pappa buona è sempre il nostro maggior pregio) si affianca un tono negativo: dapprima maliziosamente ci si chiede come mai da così tanto tempo gli italiani frequentino Malindi, tanto che ormai generazioni di keniani da quelle parti parlino fluentemente la lingua di Dante Alighieri, le attività abbiano nomi italiani e si trovino prodotti e abitudini della nostra Terra, poi si menziona il fatto che gli italiani qui godano di una sorta di immunità (seh, una volta magari...) e il cronista africano vive tutto questo come una sorta di razzismo turistico, tanto che ne suo articolo si sente quasi minacciato da una folla di italiani anziani che gli si parano davanti in un ristorante, proteggendo i loro posti prenotati. Ho provato ad immaginare la scena di terribili vecchietti che digrignano le dentiere e sollevano le forchette, tanto che il malcapitato giovanotto di colore è costretto a scappare e cercare rifugio in una friggitoria locale. Non è tanto che chi vive qui non sia abituato a queste discese nei bassifondi dei luoghi comuni, quanto che dopo 50 anni di “Malinditaly” se c’è proprio un periodo in cui non si può dire che la stiamo lottizzando e lobbyzzando è proprio questo. Nello scorso numero del prestigioso periodico "Africa Rivista", ho appunto scritto della lenta scomparsa della Malindi nostrana, a vantaggio di una cittadina in cui l'integrazione la fa da padrona ed in cui mi auguro che la nostra annosa presenza possa diventare sinonimo di valore aggiunto, di un'eccellenza in più che il Kenya può vantare. Basta fare un giro nei migliori ristoranti e hotel per vedere come anche l’hospitality all’italiana si sia adeguata alla nuova offerta turistica e al turismo locale, e di come l’integrazione con gli italiani sia da sempre molto più possibile ed evidente piuttosto che con tutte le altre nazionalità europee. E questo è un dato di fatto. Basterebbe quest’ultimo assunto per spiegare come mai sulle spiagge del Kenya esiste “Little Italy”, senza arrampicarsi sugli specchi dell’estradizione che ormai è possibile da anni grazie ad accordi bilaterali, del fatto che non è essere italiani che dà benefici in questo Paese, come in tutto il mondo, ma avere tanti soldi, ma soprattutto che in 50 anni grazie agli italiani a Malindi migliaia di ragazzi e ragazze di più generazioni hanno potuto studiare, lavorare, mantenere figli e famiglie, creare il loro mestiere e portare avanti la loro attività. Vi sono case in muratura, con tetti in cui non piove dentro, cittadini motorizzati e responsabilizzati anche grazie agli italiani. Il razzismo, cari i miei bloggari vittimisti, è tutta un’altra cosa. Per chi vuole leggere l'articolo della BBC, qui il link”. (aise)


11/03/21

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