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“Pandemia, guerra e movimenti migratori”: Inps, Farnesina e Migrantes a confronto


Dare certezze all’uomo che lavora per garantirgli dignità quando sarà in pensione, in qualsiasi paese del mondo scelga di vivere. La politica previdenziale deve tenere il passo, perché questo “dinamico” mondo del lavoro sempre più spesso ti porta in un Paese lontano dal tuo, ma non sempre ti garantisce diritti. Su questo tema si sono confrontati a Roma il presidente dell’Inps Pasquale Tridico, il Vice direttore centrale della Direzione generale per gli italiani all’estero della Farnesina Giovanni De Vita, Gian Carlo Perego, Presidente della Fondazione Migrantes, e Gabriele Uselli, Direttore centrale Pensioni INPS, nella tavola rotonda “Pandemia, guerra e movimenti migratori” moderata da Filippo Luperi (AdnKronos) seguita alla presentazione del rapporto Il fenomeno migratorio e gli effetti sulle pensioni pagate all’estero, questa mattina a Palazzo Wedekind.

Sono 326mila le pensioni che l’Inps paga all’estero, la maggior parte a italiani (71%) residenti in Europa (56,1%), ma cresce il numero degli stranieri che, dopo aver lavorato qui, decide di tornare “a casa”.

Per l’Inps, ha detto Tridico, “dove pagare una pensione è indifferente, ma così non è per le casse dello Stato” perché se emigri paghi le tasse nel Paese estero. “Personalmente non trovo corretto il dumpign fiscale nell’Ue”, ha aggiunto, riferendosi agli sgravi fiscali garantiti da alcuni Paesi ai pensionati. Un approccio tentato anche dall’Italia, ha ricordato, con la cosiddetta Flat tax del 7% per i pensionati esteri che si trasferiscono in zone interne del Sud Italia scarsamente popolate.

L’attuale, ha osservato monsignor Perego, è “uno scenario che chiede cambiamenti legislativi, sia per il rientro di chi è all’estero, sia per gli immigrati che lavorano qui”. Serve “armonia tra flussi”, perché “l’Italia è un Paese che ha bisogno di manodopera” e bisogna “fare in modo che ci sia l’incontro tra domanda e offerta non solo una volta l’anno”. Quanto all’accoglienza di chi è in fuga da guerre e disastri, “tutti sappiamo che dei 100milioni di richiedenti asilo nel mondo solo il 4% raggiunge l’Europa; in Italia abbiamo avuto il picco di sbarchi nel 2015, oggi le persone sbarcate sono 50mila”, ha continuato Perego auspicando per tutti loro la stessa “solidarietà” e sostegno che i Paesi Ue hanno giustamente dimostrato agli ucraini.

Sostegno che la Farnesina ha garantito durante la pandemia ai connazionali all’estero, come ricordato da De Vita, che ha portato alla platea i saluti del Dg Vignali, impossibilitato a partecipare all’incontro di oggi.

“Il 2020 è stato un anno mirabilis per la risposta alle esigenze degli italiani all’estero” anche grazie ad un “impegno finanziario eccezionale” di 6 milioni di euro “utilizzati per diverse esigenze”, prima tra tutte i “contribuiti all’acquisto del biglietto per il rientro in Italia”. La Farnesina, ha ricordato De Vita, “ha gestito più di 110mila rimpatri”; inoltre sono state erogate “misure specifiche a sostegno del reddito”, forniti aiuti alla scolarità, “con l’acquisto di tablet o smartphone per consentire la didattica a distanza”, e “puntato anche sulla qualificazione professionale, finanziando corsi”.

Il consigliere ha quindi citato il Fondo Africa. “Continua la stagione degli accordi con i Paesi del Mediterraneo centrale da dove provengono gli immigrati, ma si tratta di una gestazione lunga per le specificità del caso”, ha confermato De Vita. “Il nostro obiettivo prevedere meccanismi che permettano di combaciare domanda e offerta anche attraverso corsi di formazione da seguire prima di arrivare in Italia. Il Fondo Africa creato nel 2017 ha in dotazione 55 milioni per scoraggiare l’immigrazione clandestina: i migranti vengono intercettati nei Paesi di transito e convinti a tornare nel loro Paese di origine con incentivi per avviare attività economiche. Nel biennio 2018/2019 abbiamo avuto 80mila rimpatri volontari assistiti di questo tipo a fronte dei forzati”.

Alla crisi generata dal covid si è aggiunta quest’anno quella provocata dalla guerra. In Ucraina sono tornati molti immigrati che hanno lavorato in Italia, dove prima della guerra c’era la comunità più numerosa d’Europa, e che lì ricevono la pensione.

“Non abbiamo criticità nel pagamento, perché come Inps, Ministero del lavoro e Farnesina ci siamo mossi tempestivamente”, ha spiegato Uselli. Nei confronti di questi pensionati, ha ricordato il funzionario, l’Inps ha prima prorogato e poi interrotto l’operazione di verifica di esistenza in vita: “dei 4600 pensionati in Ucraina, in 1600 avevano già risposto alla campagna, per gli altri 3mila non ci sarà alcuna sospensione del trattamento”, così come godono ancora di pensione quelli rientrati in Italia, al contrario di quanto prevede la Bossi-Fini.

“Qualche lamentela” invece è giunta dalla Russia “per mancati pagamenti”, dovuti alle difficoltà delle banche. “Anche qui ci siamo attivati con la Dgit per attuare un modulo più flessibile, una procedura semplificata” a vantaggio dei soli 170 pensionati lì residenti.

Ucraina caso emblematico del futuro impatto sul sistema pensionistico italiano: in 10 anni ha decuplicato i suoi pensionati, così come la Moldavia. Al momento “sono numeri contenuti ma che stanno crescendo”, così come quelli di altri paesi dell’est.

Per questo, ha ribadito Tridico, bisogna “dare certezza agli individui” stipulando “accordi bilaterali” con i Paesi extra Ue.

“Nel mercato del lavoro oggi ci sono 3,5 milioni di irregolari, cioè ci sono aziende che evadono i contributi. Persone che non avranno la pensione. Molti sono attratti da uno stipendio netto più alto oggi, pure in nero, nell’incertezza di poter totalizzare i contributi per avere una pensione. Ma se noi dessimo la certezza di una pensione futura questi lavoratori non avrebbero interesse ad accettare un netto oggi senza la pensione domani”. La convenzione “ridurrebbe questo circolo vizioso, sarebbe il primo passo verso la certezza di una pensione piena e futura”, ma non solo, anche “di altre prestazioni previdenziali, come malattia, disoccupazione o cassa integrazione”. Durante la pandemia, ha ricordato Tridico, “c’è stata una certa emersione di lavoro nero, soprattutto nell’agricolo e nel domestico”, sia perché sono state approvate “norme a beneficio” ma anche perché solo i regolari avevano accesso ai bonus del governo.

All’estero come in Italia “c’è una generale alla riduzione delle pensioni, visto che è stata irrigidita l’uscita dal mondo del lavoro (Legge fornero- ndr)” cui si accompagna “la crescita delle pensioni straniere”, che oggi ha un livello ancora basso ma che cresce costantemente nel tempo. “Nel lungo, lungo periodo le due tendenze si incroceranno: tenderanno a zero le pensioni ora erogate ai primi emigrati italiani e ai loro eredi, saliranno quelle straniere”.

“I nuovi equilibri per il lavoro dovranno salire verso l’alto”, ha aggiunto il presidente dell’Inps. “Se siamo un Paese avanzato, e lo rivendichiamo, non possiamo fare competizione sul costo del lavoro, ma sull’innovazione. Se il turismo è un settore strategico, va valorizzato attraverso la professionalità di dipendenti attratti da alti salari”.

“Difficile dissentire” dalle affermazioni di Tridico, ha commentato De Vita, che alla Farnesina coordina il progetto “Turismo delle Radici”.

L’Italia è ai primi posti per siti Unesco, ma solo quinta o sesta nelle classifiche dei paesi più visitati “perché non investiamo nel turismo”, ha affermato il consigliere, sostenendo la necessità di “lavorare ad una offerta di servizi ragionata” proprio “come vogliamo fare con il turismo delle radici”, progetto rivolto agli emigrati e loro discendenti, una “grande occasione” che intende sviluppare “nuove professionalità, coinvolgendo gli enti locali” per attirare anche i pensionati e non solo quelli italiani. Persone che “vanno accompagnate in questo percorso” attraverso servizi dedicati.

A chiudere anche la tavola rotonda è stato monsignor Perego: interpellato sul rapporto tra previdenza e dignità, il presidente della Migrantes ha citato Papa Francesco che “ha 4 parole chiave quando parla di mobilità: accoglienza, tutela, promozione e integrazione”. Tradotto, serve “un percorso sburocratizzato, di cittadinanza attiva e di tutela contrattuale, di riconoscimento dei titoli, di convenzioni e accordi bilaterali, di riconoscimento delle capability”. Tutto, ha evidenziato il Prelato, concorre “affinchè gli immigrati amino questo Paese e diano il meglio all’Italia. Opportunità, riconoscimenti, sburocratizzazione: serve più politica, più attenzione alle città”. (aise)

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