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Londra : tre anni dalla Brexit. Ma tra gli inglesi regna il pentimento e i numeri lo confermano

LONDRA - “Altro che festeggiamenti per i tre anni dalla messa in atto della Brexit: tra inflazione, crisi sociale e politica, aumento dei prezzi, scioperi a raffica e nuove analisi del Fondo Monetario Internazionale, il Regno Unito è il paese, tra i 7 più avanzati al mondo, a subire la contrazione economica più importante. Tradotto: niente ripresa nel giro di poco tempo per il paese, come preventivato dal neo governo del primo ministro Rishi Sunak”. Così scrive Alessandro Allocca su “LondraItalia.com”, quotidiano online diretto da Francesco Ragni.

“La notizia dell’FMI giunge proprio come una doccia fredda nel giorno in cui l’UK ha cerchiato in rosso sul proprio calendario il terzo anno dal divorzio ufficiale con l’Unione europea.

E se da una parte il Fondo Internazionale dice che l’UK sta registrando un -0.6% nelle previsioni di crescita nel breve periodo (contro tutti gli altri in segno positivo, Giappone, Canada, Stati Uniti, Francia, Italia e Germania) dall’altro arriva un sondaggio realizzato da YouGov, organismo tra i più attivi nel testare il mood della popolazione su diversi aspetti, che conferma che tra gli inglesi regna il pentimento per la scelta fatta nel celebre referendum del 2016: a novembre scorso il 56% dei cittadini riteneva che la Brexit fosse stato un errore e solo il 32% pensava fosse una buona idea.

Numeri che si aggravavano ancora di più nel nuovo sondaggio aggiornato al 23 gennaio sempre condotto da YouGov che conferma che il 63% degli intervistati è deluso di come Downing Street abbia, e stia ancora gestendo la Brexit, contro il 25% che ha un feeling positivo che le cose andranno meglio.

Quindi, a conti fatti, oggi, 31 gennaio, in occasione delle celebrazioni per il terzo anniversario della Brexit, nel Regno Unito l’aria che si respira non è per nulla festosa. Non è solo l’ambito economico a confermare il momento no di un territorio che storicamente è sempre stato visto come uno dei più solidi su scala globale, ma c’è anche molto altro a minare la stabilità presente e futura del paese.

Sul fronte politico, infatti, i contrasti e le tensioni interne al partito conservatore al governo su come gestire la Brexit hanno portato un’instabilità senza precedenti. I tre primi ministri e i quattro cancellieri dello Scacchiere che si sono succeduti lo scorso anno hanno dovuto prestare più attenzione agli equilibri interni ai Tory che alla gestione ottimale della transizione, dopo quasi cinque decenni di appartenenza all’UE.

Sul fronte economico, oltre ai dati sopra descritti, il Regno Unito continua a perdere terreno. Le conseguenze della pandemia e poi della guerra in Ucraina sono state sentite da tutti i Paesi europei, ma l’impatto è stato particolarmente negativo in UK. La Banca d’Inghilterra ha confermato che il Paese è entrato in una recessione che durerà fino al 2024. L’inflazione resta a due cifre e ai massimi da quarant’anni, e gli aumenti dei prezzi riguardano soprattutto i generi alimentari di prima necessità, colpendo i ceti meno abbienti. Il tenore di vita dei cittadini è crollato ai ritmi più rapidi dal dopoguerra e milioni di persone sono state spinte sotto la soglia della povertà.

Se il popolo piange, le imprese non ridono. La crisi dei consumi dovuta al carovita significa che il mercato domestico si è contratto, mentre la Brexit ha ridotto l’export verso l’Unione Europea, che resta il maggiore partner commerciale. Società grandi e piccole lamentano problemi nell’esportare a causa delle lungaggini burocratiche e le difficoltà nel reperire personale, sia qualificato che non, dovute in gran parte all’esclusione dei cittadini europei dal mercato del lavoro. Il numero di imprese che hanno lanciato un allarme profitti è aumentato del 50% lo scorso anno.

Le tensioni sociali sono ai massimi dagli anni Settanta. Negli ultimi mesi un’ondata di scioperi in tutti i settori pubblici, dalla sanità ai trasporti, dalla Pubblica amministrazione alla giustizia, dai vigili del fuoco ai postini, ha paralizzato il Paese. Il Governo ha adottato la linea dura, rifiutando le richieste di aumenti degli stipendi in linea con l’inflazione e di un miglioramento delle condizioni di lavoro.

Il risultato è che domani, primo febbraio, sarà la giornata di maggiori scioperi da un decennio. Oltre mezzo milione di lavoratori, compresi insegnanti, docenti universitari, ferrovieri e autisti di tram e autobus, si asterranno dal lavoro.

I sindacati hanno organizzato manifestazioni di piazza in tutto il Paese per protestare contro il disegno di legge del governo che punta a limitare il diritto allo sciopero. Secondo Londra si tratta di garantire un livello minimo di servizi essenziali, secondo i sindacati e l’opposizione è invece una misura draconiana che consentirebbe il licenziamento di chi sciopera”.



(aise)

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