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Nessun rispetto per la verità: la morte di un prigioniero di guerra italiano.


- “Il caso di un prigioniero italiano ucciso nel 1946 dal comandante del suo centro di detenzione venne sepolto dalla burocrazia militare australiana, tra accuse di violenza e corruzione”. Ne parla oggi Carlo Oreglia in un articolo pubblicato sul portale di SBS Italian, lo Special Broadcasting Service che diffonde notizie in lingua italiana in tutta l’Australia.

“Nel 1946 la seconda guerra mondiale era terminata, lasciando sul suolo australiano circa 18mila prigionieri di guerra italiani (POW, Prisoners of War) in attesa di essere rimpatriati. Uno di loro, Rodolfo Bartoli, si trovò forse invischiato in una storia più grande di lui e pagò con la vita una situazione in cui si intrecciarono abusi sui prigionieri, corruzione e ingiustizie giuridiche.

La sua storia è stata raccontata da Darren Arnott, che in “No Regard for the Truth” svela come Rodolfo venne ucciso dal capitano J.W.Waterson, l’uomo a capo del centro di detenzione di Rowville, nei quartieri est di Melbourne.

Il responsabile del campo era conosciuto come “un uomo brutale”, accusato da più parti di violenze verso i prigionieri e di essere un forte bevitore, anche in servizio. Rodolfo invece era un soldato italiano di 26 anni da Firenze, che venne fatto prigioniero in Nord Africa e poi trasportato Down Under, dove venne sballottato tra diversi campi d’internamento per poi finire in quello di Rowville.

I prigionieri di guerra italiani, alla fine del conflitto, godevano di relativa libertà e avevano la possibilità di intrecciare rapporti con la gente del posto. In queste circostanze, Rodolfo incontrò Nora Gearon, che viveva in una fattoria a meno di due chilometri dal campo. La famiglia della giovane donna aveva fatto amicizia con i prigionieri di guerra e uno di loro, Rodolfo, divenne un frequentatore regolare della fattoria, avviando poi una relazione romantica con lei.

Le ruote del meccanismo che portarono alla morte di Rodolfo furono messe in moto da Lena Santospirito, allora conosciuta come la “mamma degli italiani”, per il suo continuo aiuto nel dopoguerra ai migranti italiani. Dopo essere venuta a conoscenza di diverse accuse legate a maltrattamenti e violenze nel campo di Rowville, Santospirito scrisse una lettera all'allora ministro dell’Immigrazione Arthur Calwell. Nella sua lettera descrisse il capitano Waterston come un “ubriacone”, un “vero e proprio Nerone” pronto ad abusare dei prigionieri e a rubarne i loro scarsi averi. Le accuse della Santospirito, che riportava i racconti dei prigionieri, spinsero il ministero ad aprire un fascicolo nei confronti del capitano Waterston.

Il sabato sera dopo la spedizione della lettera della “mamma degli italiani”, però, gli eventi presero una brutta piega per Rodolfo. “Non ne sono sicuro, ma è possibile che Waterston fosse a conoscenza dell’indagine che stava per essere intrapresa nei suoi confronti”, racconta a SBS Italian Darren Arnott.

Quello che successe quel sabato diventò poi oggetto di dispute, inesattezze, calunnie e tentativi di depistaggio. Verso le 18:30 i prigionieri stavano facendo cena in due turni diversi, a causa dell’alto numero degli italiani presenti nel campo. Rodolfo aveva appena finito e stava andando a fare una passeggiata insieme al responsabile dei prigionieri Michele Scuma. Il clima era sereno, la conversazione incentrata su una partita a carte sfortunata che Rodolfo aveva perso. Una passeggiata come tante altre, che venne sconvolta da uno sparo.

A poca distanza dalle latrine del campo si sentì un colpo di pistola, che attirò numerosi prigionieri. Rodolfo era stato colpito e apparve subito chiaro che a premere il grilletto era stato il capitano del campo Waterston. La ferita all’inguine di Rodolfo apparve subito grave, l'italiano perdeva molto sangue. Venne trasportato all’ospedale militare di Heidelberg in auto per fare più in fretta, ma morì qualche ora più tardi per via della ferita.

Il giorno dopo la storia prese vita sui giornali locali, con alcuni resoconti verosimili e altri totalmente fantasiosi. Un giornale chiamato The Truth parlò addirittura di un piano di 5.000 prigionieri per evadere dal campo e farsi nascondere dalla comunità italiana, una notizia priva di fondamento che però spiegava la morte di Rodolfo come la conseguenza di un tentativo di fuga.

Immediatamente vennero aperte diverse inchieste, oltre a quella del maggiore Archer a seguito della lettera di Lena Santospirito sui presunti maltrattamenti nel campo.

Un’inchiesta dei militari indagò sommariamente sugli eventi e stabilì come Rodolfo fosse morto “come risultato delle sue azioni” e che Waterston aveva agito in modo corretto. Una terza indagine, quella della squadra omicidi, finalmente iniziò ad ascoltare testimoni italiani e con essa iniziarono a trapelare “versioni senza filtro di ciò che era accaduto”, come le descrive Arnott.

Uno dei punti più controversi, in pieno contrasto con la teoria del tentativo di fuga, era quello dei confini entro i quali era consentito ai prigionieri italiani di recarsi liberamente durante il giorno.

Prima dell’incidente di Rodolfo, ai POW era stato comunicato che potevano girare liberamente in un’area molto ampia, fino a diversi chilometri di distanza dalle baracche in cui venivano ospitati. Dopo l’incidente, l’area venne ristretta drasticamente, per cercare di mostrare come quella di Rodolfo fosse una fuga finita male, anche se nelle foto d’epoca si vedono le latrine a poche decine di metri dal punto in cui Rodolfo cadde colpito a morte.

Ricapitoliamo i fatti: una settimana dopo l’inizio di un’inchiesta su presunte violenze all’interno del campo, il prigioniero di guerra italiano Rodolfo Bartoli viene ucciso all’interno della parte del campo in cui i prigionieri avevano diritto all’accesso durante il giorno, area che nei giorni seguenti venne drasticamente ridotta dalle autorità per avallare l’ipotesi di una fuga. In questo dramma spunta inoltre un elemento di potenziale corruzione di basso calibro.

Una delle ipotesi che ai tempi venne discussa – ma mai provata – era legata ad una strana vicenda legata a delle lamiere ondulate provenienti da alcuni edifici in disuso del campo. Il capitano Waterston le aveva fatte smantellare, ma queste lamiere erano ricomparse “misteriosamente” in una fattoria di fronte al campo. La gestione delle lamiere e il potenziale coinvolgimento di Waterston divennero uno degli argomenti più chiacchierati tra i prigionieri di guerra. La possibilità che Rodolfo ne avesse parlato in giro e che fosse diventato un testimone scomodo iniziò a circolare, ma senza alcuna prova sostanziale.

“È un’ipotesi che Waterston fosse preoccupato dal fatto che Rodolfo parlasse in giro di quell’argomento e che il risultato sia stato il colpo mortale che lo ha ucciso”, racconta Darren, sottolineando però che si tratta di pura speculazione.

La situazione però era comunque molto difficile per Waterston, alle prese con l’inchiesta del tribunale militare, quella amministrativa del maggiore Archer e quella del coroner, mentre continuavano a circolare voci decisamente non lusinghiere sulla sua gestione del campo. Waterston venne sospeso durante l’inchiesta, che sottolineò il clima di disprezzo verso i detenuti e un “uso disinvolto” delle armi.

Una storia che emerse durante le inchieste riassume bene la casualità con cui venivano maneggiate le armi e l’atteggiamento degli investigatori.

Pochi giorni dopo la morte di Rodolfo, il maggiore Archer - a capo dell’inchiesta scaturita dalla lettera di Lena Santospirito - il superiore di Waterston Thompson e lo stesso Waterston si trovarono una sera a cena insieme alle rispettive mogli. I partecipanti alzarono il gomito e, tirate fuori delle pistole, iniziarono a sparare al soffitto. La rivelazione proviene da testimonianze di camerieri italiani e mostra il clima di mancanza di rispetto per la morte di Rodolfo e un approccio disinvolto all’uso delle armi. Se da una parte indagato e indagatori si ubriacavano insieme e prendevano a rivoltellate il soffitto, dall’altra la morte di Rodolfo ebbe effetti ben più gravi per la sua fidanzata.

Nora Gearon venne a sapere della sua morte solo due giorni dopo l’accaduto, avvertita dalla sorella che ne aveva letto la notizia sul giornale. L’intera famiglia Gearon fu devastata dalla notizia e cercò attivamente di scoprire cosa fosse successo quella sera e per quale motivo. Una missione destinata ad infrangersi contro la legge e le disuguaglianze sociali del dopoguerra.

Era infatti il 1946 e le forze militari australiane non avevano né la forza né la volontà di vedersi trascinare in un processo impopolare e difficile: Waterston venne dunque scagionato dalle prime due inchieste, mentre quella del coroner risultò inconcludente.

Un’ulteriore indagine sull’amministrazione generale del campo espresse pareri molto critici sulla gestione, senza però stabilire se Waterston fosse solito essere ubriaco in servizio o meno. L'inchiesta mise nero su bianco però come il capitano fosse solito sparare contro i prigionieri o vicino a loro. Come risultato, ci furono due udienze della corte marziale, con nove capi d’accusa contro il capitano. Anche in questo caso, i vertici militari ci andarono leggeri. Waterston venne riconosciuto colpevole solo di uno dei capi di accusa, quello di aggressione multipla ad un prigioniero, e per questo ricevette una reprimenda.

Della storia non si parlò più e la vicenda era rimasta solo nel ricordo di Nora, che è ancora in vita e ha 97 anni, fino alla decisione di Darren Arnott di scavare negli archivi per riportarla alla luce.

“Sono rimasto colpito dal senso della tragedia, dalla terribile perdita di una giovane vita e dall’ingiustizia”, riflette Arnott. “E anche dal fatto che nessuno conosceva la vicenda di Rodolfo: piano piano ho iniziato a sentire la responsabilità di raccontare la sua storia".

Arnott conferma a SBS Italian che ci sono state molte ipotesi sui motivi del comportamento del capitano Waterston, che vanno dalla crudeltà di un uomo abituato ad avere potere di vita e di morte sui prigionieri, al tentativo di coprire il suo coinvolgimento in un caso di corruzione. “Ma potrebbero alla fine ridursi al fatto che una sera aveva bevuto in eccesso e ha sparato un colpo di troppo”, è la conclusione un po' rassegnata di Darren Arnott. “L’aspetto più deludente per me è che non sono riuscito a scoprire il perché di questa vicenda”.

Rodolfo venne sepolto al cimitero di Springvale e negli anni ’60 trasportato nell’Ossario di Murchinson, dove i suoi resti fanno compagnia a centinaia di soldati e POW italiani che hanno perso la vita in Australia.

Il libro di Darren Arnott “No regard for the truth” è stato nominato per il Victorian Community History Awards 2020”. (aise)

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