Massimo Moietta

24 gen 2022

Tokyo e Osaka, la particolare esperienza pandemica degli italiani al canto della sirena Amabie

Nel Rapporto Italiani nel Mondo 2021, realizzato dalla Fondazione Migrantes, è contenuto un saggio incentrato sull’esperienza pandemica degli italiani in Giappone: a realizzarlo è Daniela Maniscalco, Presidente Dante Alighieri – Lussemburgo. La ricerca parte dalla riflessione riguardante la particolare longevità della popolazione giapponese, annoverata tra le più anziane in assoluto al mondo e con una delle più alte concentrazioni abitative; a fronte di questo dato risulta sorprendente come nel periodo più cupo della pandemia gli indici di contagi, ospedalizzazioni e decessi sia stato di molto inferiore rispetto ad altre Nazioni. Nel Paese del Sol Levante buone prassi e buone politiche si uniscono spesso anche all’ancestrale folklore: chi è dunque la sirena Amabie? Nel lontano 1846 un inviato governativo fu chiamato a indagare sulle strane luci che di sera apparivano nell’odierno porto di Kumamoto. Dagli abissi del mare apparve al funzionario uno yōkai (creatura mitologica giapponese simile a una sirena) chiamato Amabie che predisse sei anni di buon raccolto ma anche possibili pandemie che sarebbero però state debellate mostrando la sua immagine. Succede così che ad oltre un secolo e mezzo di distanza, qualcuno abbia postato sui social, nel marzo 2020, l’immagine dello yōkai che è divenuta virale in poco tempo. La figura mitologica non è sfuggita alle autorità giapponesi, che hanno deciso di adottarla a loro volta. La strana sirena nipponica è sbarcata anche in Italia divenendo protagonista dell’iniziativa carnevalesca napoletana, in pieno lockdown, ribattezzata “Amabie@Montesanto”; nel maggio 2021 è stata la volta della Fondazione Italia-Giappone che ha dedicato alla mascotte l’iniziativa “Amabie, la magica profezia dello yōkai”. Da qui la star del momento è divenuta oggetto di dibattito anche nel mondo politico giapponese: c’è stato persino chi ha attribuito alla sirena dei poteri, non certamente curativi ma in grado di interagire con la forma mentis dei giapponesi e creare così un approccio mentale alla pandemia probabilmente meno soggetto a stress rispetto alle culture occidentali. L’ex Premier Shinzō Abe ha parlato a tal proposito di una sorta di “modello giapponese”. Tornando alla realtà, uno dei motivi per cui in Giappone al lockdown propriamente detto si è preferita una serie di restrizioni più soft è che il Kenpō (ossia la Costituzione) del 1946 non prevede lo stato di emergenza. Solo nel 2013 il Governo giapponese ha adottato lo Special Measures Act che consente la previsione di interventi atti a fronteggiare un’emergenza sanitaria. In un certo senso i giapponesi si sono ritrovati, durante il cosiddetto lockdown, ad essere invitati a restare a casa ma non propriamente obbligati non prevedendo le norme sanzioni penali o amministrative in caso di violazione ma soltanto il caratteristico public shaming, ossia la gogna mediatica della pubblicazione dei nomi dei cittadini disobbedienti. Agli occhi di un occidentale può far sorridere una cosa del genere, ma nelle culture orientali l’onore pubblico riserva un posto importante nella vita del cittadino. Per quanto riguarda gli italiani, i connazionali residenti in Giappone al 2019 erano 4700, per lo più dislocati tra Tokyo e Osaka. Si tratta spesso di lavoratori altamente qualificati e impiegati in settori finanziari o di import-export. Soltanto un 18% è rappresentato da studenti. C’è infine il fenomeno, divenuto cult, “Pizza Man” che al secolo è Salvatore Cuomo. Di origine napoletana, Cuomo è proprietario di una nota catena di ristoranti in Giappone e in Asia ed è colui che ha reso famosa la pizza nel Paese del Sol Levante e, nel suo piccolo, ha sicuramente contribuito a rendere questo piatto tipico italiano patrimonio immateriale dell’umanità Unesco. (Inform)